Il legame tra un ragazzo e un lupo in una stupenda storia distribuita dalla Notorious Pictures e presentata in anteprima il 22 marzo al Bari International Film Festival
Jean-Jacques Annaud, già regista de “Il nome della rosa” e “Sette anni in Tibet”, torna dietro la macchina da presa e dirige un film ad ampio respiro, tratto da un romanzo intitolato “Il totem del lupo” (“Lang Tuteng”in originale) dell’autore cinese Jiang Rong. L’autore ha scritto solo quel libro ma tanto è bastato ad assicurargli un grande successo. Il romanzo infatti, dalla sua uscita in Cina nel 2004, è diventato ben presto un bestseller e ha venduto più di 20 milioni di copie. Vincitore di numerosi premi, tra cui il prestigioso Premio Man della letteratura asiatica nel 2007, il libro è ancora oggetto di molte polemiche nel suo paese d’origine, censurato per motivi politici e moralistici.
Per capire la potenza sia del libro che del film, è bene cominciare dalla trama. Chen Zhen, un giovane studente di Pechino, viene inviato nelle zone interne della Mongolia per insegnare a una tribù nomade di pastori. A contatto con una realtà diversa dalla sua, Chen scopre di esser lui quello che ha molto da imparare sulla comunità, sulla libertà ma specialmente sul lupo, la creatura più riverita della steppa. Sedotto dal legame che i pastori hanno con il lupo e affascinato dall’astuzia e dalla forza dell’animale, Chen un giorno trova un cucciolo e decide di addomesticarlo. Il forte rapporto che si crea tra i due sarà minacciato dalla decisione di un ufficiale del governo di eliminare, a qualunque costo, tutti i lupi della regione.
Al centro del libro e della pellicola vi è sicuramente il riconoscimento della superiorità del lupo, animale dotato di forza morale, lungimiranza, capacità di coesione sociale, giusta dose di aggressività, coraggio, capace di un comportamento assolutamente rispettoso dell’equilibrio naturale, ma soprattutto di una fierezza tale da renderne impossibile l’addomesticamento.
La trama, di per sé assai semplice e lineare, si costruisce attorno al tentativo del protagonista di allevare un cucciolo di lupo, tentativo destinato a fallire miseramente perché, come ribadito in uno degli ultimi capitoli del libro, “puoi mettere al guinzaglio un cane, un orso, una tigre e persino un leone, ma un lupo no, mai”.
La metafora è quella che vede contrapposto un popolo di allevatori nomadi liberi, selvaggi, indomabili (i mongoli) a uno contadino, incapace di alzare la testa, stanziale, erbivoro, timoroso, facilmente soggiogabile (gli han), ma è fortemente presente la tematica ambientalista che affronta il problema della desertificazione della prateria mongola, causata, secondo l’autore, dal progressivo abbandono della pastorizia nomade a favore di un inesorabile avanzamento dello sfruttamento agricolo. Non dimentichiamo che l’autore, un maturo professore sposato con una scrittrice che si nasconde dietro un anonimato facilmente smascherabile (ma prudenzialmente scelto per non dare risalto ai due anni passati in prigione per il coinvolgimento nei fatti di Piazza Tian’anmen), ha trascorso nella Mongolia Interna, in qualità di “giovane istruito”, gli anni della Rivoluzione Culturale che racconta nelle oltre 400 pagine del libro. Sicuramente il protagonista Chen Zhen è l’alter ego dell’autore (per sua stessa ammissione) e conduce il lettore alla scoperta di un mondo ormai perduto.
Il film è nato sette anni fa, quando una delegazione di cinesi è andata a Parigi ad incontrare il regista. “Il totem del lupo è diventato il successo letterario più importate dopo il Libretto rosso di Mao. I lettori hanno scoperto l’esistenza di questi luoghi magnifici e puri della Mongolia Interna, che oggi è fortemente minacciata” afferma Annaud, ”Avevo sentito parlare del libro quando uscì tradotto in francese e ne avevo letto qualche pagina, è stato lo stesso modo in cui mi ero avvicinato a Il nome della Rosa quando, anni prima, lessi degli estratti del romanzo. Mi resi conto, allora, che i temi sviluppati ne Il totem del lupo mi erano familiari. L’idea di questo giovane istruito che s’innamorava di un luogo così improbabile, allevando un cucciolo di lupo in mezzo a un branco di pecore, non era altro che il ricordo di alcune tematiche ben radicate nella mia vita e nel mio lavoro. È stato allora che, le persone che poi sono diventate i miei produttori e i miei collaboratori, arrivarono nel mio ufficio, a Rue Lincoln a Parigi. Mi proposero di adattare il romanzo per il grande schermo”.
Il regista era inizialmente perplesso per l’offerta ricevuta per il fatto di non essere molto popolare tra le fila del governo cinese. Alcuni suoi film, quale ad esempio “L’amante”, sono ancora vietati. “Quando sono atterrato a Pechino sono stato subito accompagnato al comune per incontrare il sindaco, un fan del libro molto preoccupato per la scarsa affluenza di turisti in città a causa dello smog. Sono partito la sera stessa per la Mongolia Interna, accompagnato da Jiang Rong, l’autore del romanzo. Fu un soggiorno di 3 settimane nei luoghi della storia, ai piedi delle montagne dove era stato trovato il cucciolo di lupo, sulle rive del lago gelato dove si immersero i loro cavalli, vicino agli allevatori che non hanno dimenticato nulla di quella storia”.
Sicuramente un’esperienza molto importante per Annaud, che ha potuto girare delle scene alquanto realistiche grazie alle riprese sul posto. “Da lontano non abbiamo mai la stessa percezione di quando si sta sul posto e si condivide la vita quotidiana con la gente” afferma,”lì ho scoperto un paese e un popolo che non immaginavo. Sono stato accolto a braccia aperte. Con i miei attori e la troupe si è creato un bellissimo rapporto. Ho lavorato con grande libertà. Naturalmente ero in una posizione privilegiata ma quello che mi è piaciuto più di tutto è stata la loro franchezza disarmante”.
Annaud, ben consapevole delle difficoltà insite nella preparazione di un film a causa della censura governativa, è stato a lungo in apprensione pensando che avrebbero tagliato molte scene del girato e dichiara: “Esiste in Cina una commissione che vigila sul rispetto delle specificità regionali. Sono 56 le minoranze etniche che vivono in Cina, per un totale di circa 200 milioni di persone. Io sono il primo a pensare che bisogna rispettare le minoranze ma, a parte 4 consiglieri assunti per aiutarmi a non fare errori, ero angosciato di non aver fatto abbastanza per mostrare la cultura e le abitudini mongole! Beh, prima di ricevere il via libera finale, devo dire che il mese di luglio del 2014 è stato piuttosto adrenalinico!”
Per quanto riguarda il cast del film, gli attori sono tutti professionisti, tranne qualche comparsa recuperata nelle file degli allevatori e dei cavallerizzi del posto. “Solo i tre protagonisti sono però delle vere star Han, l’etnia dominante in Cina”dice Annaud. “Gli altri provengono dai quattro angoli più nascosti della Mongolia Interna, selezionati attraverso un casting che mi ha fatto percorrere decine di migliaia di chilometri per incontrarli”.
La particolarità della pellicola sta nel fatto che è stato utilizzato il 3D. “Utilizzando il sistema 3D”, sottolinea Annaud, “il regista si trasforma in uno scultore, ma dobbiamo utilizzarlo non commercialmente, per colpire lo spettatore, ma a servizio della storia narrata. È un sistema molto efficace per le scene di intimità o per dare emozione. Molti registi oggi non amano il 3D, ma l’ho scelto, per creare maggiore intimità con gli animali. Quello che mi ha convinto a utilizzarlo è il fatto che mi sono reso conto che erano le scene riprese da vicino del cucciolo di lupo che ne avrebbero giovato veramente”.
La sfida maggiore però è stata sicuramente quella di lavorare coi lupi, animali non certo da compagnia né facili da addestrare. “È un discreto incubo!”, confessa il regista,“il lupo è un animale molto selvaggio, sempre sul chi va là. Obbedisce solo al suo capo branco, che a sua volta obbedisce all’addestratore solo quando vuole. Non si lascia avvicinare. Non si lascia lavare quando si è rotolato nel fango. Bisogna aspettare ore, a volte giorni, perché il lupo senta la scena, bisogna essere pronti a scattare nel momento in cui il re decide che è il momento di girare!”.
Terra di lupi, la Mongolia, si è dimostrata la seconda protagonista della pellicola, grazie ai suoi immensi e sterminati paesaggi e, come dice Annaud: “La verginità degli spazi è uno degli elementi fondamentali del film. Lo splendore della steppa è lo scrigno del lupo della Mongolia, il simbolo eroico e selvaggio della stessa vita selvaggia”.
Importante l’apporto e l’appoggio dell’autore del libro, che come già detto, ha molte cose in comune col protagonista della sua storia. Oggi a 68 anni, Jiang Rong è ancora preoccupato per quello che la gente pensa dei lupi nel mondo ed è rimasto un fervente ambientalista.
Shaofeng Feng intepreta il protagonista della vicenda. Attore molto conosciuto, ha girato più di 50 film e serie tv negli ultimi 10 anni. Nato a Shangai, è stato notato dal grande pubblico nel 2011 per il film “White Vengeance” del regista di Hong Kong Daniel Lee. A suo agio anche nelle arti marziali, nelle commedie e nei drammi, Shaofeng Feng punta molto sulla forza del coinvolgimento. Molto impegnato nel dibattito sul riscaldamento ambientale, Shaofeng Feng ha già partecipato a molte conferenze internazionali sul clima, organizzate dalle Nazioni Unite. La sua ostinazione e la sua dolcezza, unite al profondo impegno nelle questioni ambientali, hanno convinto Jean-Jacques Annaud, che gli ha affidato il ruolo principale di Chen Zhen.
“Il totem del lupo” (titolo originale del libro e del film), riaccende sicuramente un vivace dibattito culturale sulle radici storiche e le conseguenze etico-politiche di certe caratteristiche etniche che possono aver contribuito a forgiare la fisionomia della nazione cinese. Molto presente anche l’approccio naturalistico: è l’arrivo dei cinesi nella prateria a causarne la desertificazione o non è piuttosto la civiltà industriale nata proprio in quell’occidente che Jiang Rong vede come erede fisico e spirituale del popolo dei lupi? Certo è che il romanzo ha toccato un nervo scoperto nella cultura cinese, quello dell’identità culturale, della definizione del carattere di un popolo e il film rispecchia abilmente la natura dell’opera, unendo ecologismo, animalismo, diritto all’autodeterminazione e una certa dose di epicità.